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RADICI - RADICI
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La casa sul confine della sera
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oscura e silenziosa se ne sta,
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respiri un' aria limpida e leggera
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e senti voci forse di altra età,
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e senti voci forse di altra età...
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La casa sul confine dei ricordi,
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la stessa sempre, come tu la sai
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e tu ricerchi là le tue radici
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se vuoi capire l'anima che hai,
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se vuoi capire l'anima che hai...
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Quanti tempi e quante vite sono scivolate via da te,
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come il fiume che ti passa attorno,
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tu che hai visto nascere e morire gli antenati miei,
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lentamente, giorno dopo giorno
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ed io, l'ultimo, ti chiedo se conosci in me
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qualche segno, qualche traccia di ogni vita
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o se solamente io ricerco in te
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risposta ad ogni cosa non capita,
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risposta ad ogni cosa non capita...
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Ma è inutile cercare le parole,
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la pietra antica non emette suono
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o parla come il mondo e come il sole,
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parole troppo grandi per un uomo,
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parole troppo grandi per un uomo...
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E te li senti dentro quei legami,
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i riti antichi e i miti del passato
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e te li senti dentro come mani,
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ma non comprendi più il significato,
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ma non comprendi più il significato...
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Ma che senso esiste in ciò che è nato dentro ai muri tuoi,
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tutto è morto e nessuno ha mai saputo
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o solamente non ha senso chiedersi,
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io più mi chiedo e meno ho conosciuto.
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Ed io, l'ultimo, ti chiedo se così sarà
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per un altro dopo che vorrà capire
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e se l'altro dopo qui troverà
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il solito silenzio senza fine,
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il solito silenzio senza fine...
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La casa è come un punto di memoria,
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le tue radici danno la saggezza
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e proprio questa è forse la risposta
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e provi un grande senso di dolcezza,
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e provi un grande senso di dolcezza...
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LA LOCOMOTIVA - RADICI
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Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
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con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
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quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
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ma nella fantasia ho l'immagine sua:
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gli eroi son tutti giovani e belli,
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gli eroi son tutti giovani e belli,
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gli eroi son tutti giovani e belli...
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Conosco invece l'epoca dei fatti, qual' era il suo mestiere:
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i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
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i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
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sembrava il treno anch' esso un mito di progresso
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lanciato sopra i continenti,
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lanciato sopra i continenti,
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lanciato sopra i continenti...
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E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
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che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano:
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ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
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sembrava avesse dentro un potere tremendo,
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la stessa forza della dinamite,
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la stessa forza della dinamite,
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la stessa forza della dinamite..
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Ma un' altra grande forza spiegava allora le sue ali,
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parole che dicevano "gli uomini son tutti uguali"
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e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
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la bomba proletaria e illuminava l' aria
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la fiaccola dell' anarchia,
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la fiaccola dell' anarchia,
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la fiaccola dell' anarchia...
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Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
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un treno di lusso, lontana destinazione:
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vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
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pensava al magro giorno della sua gente attorno,
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pensava un treno pieno di signori,
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pensava un treno pieno di signori,
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pensava un treno pieno di signori...
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Non so che cosa accadde, perchè prese la decisione,
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forse una rabbia antica, generazioni senza nome
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che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore:
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dimenticò pietà, scordò la sua bontà,
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la bomba sua la macchina a vapore,
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la bomba sua la macchina a vapore,
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la bomba sua la macchina a vapore...
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E sul binario stava la locomotiva,
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la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
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sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
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mordesse la rotaia con muscoli d' acciaio,
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con forza cieca di baleno,
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con forza cieca di baleno,
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con forza cieca di baleno...
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E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
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pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto.
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Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
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e prima di pensare a quel che stava a fare,
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il mostro divorava la pianura,
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il mostro divorava la pianura,
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il mostro divorava la pianura...
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Correva l' altro treno ignaro e quasi senza fretta,
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nessuno immaginava di andare verso la vendetta,
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ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
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"notizia di emergenza, agite con urgenza,
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un pazzo si è lanciato contro al treno,
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un pazzo si è lanciato contro al treno,
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un pazzo si è lanciato contro al treno..."
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Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
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e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva
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e sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande in aria:
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"Fratello, non temere, che corro al mio dovere!
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Trionfi la giustizia proletaria!
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Trionfi la giustizia proletaria!
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Trionfi la giustizia proletaria!"
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E intanto corre corre corre sempre più forte
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e corre corre corre corre verso la morte
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e niente ormai può trattenere l' immensa forza distruttrice,
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aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
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della grande consolatrice,
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della grande consolatrice,
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della grande consolatrice...
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La storia ci racconta come finì la corsa
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la macchina deviata lungo una linea morta...
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con l' ultimo suo grido d' animale la macchina eruttò lapilli e lava,
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esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo:
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lo raccolsero che ancora respirava,
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lo raccolsero che ancora respirava,
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lo raccolsero che ancora respirava...
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Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
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mentre fa correr via la macchina a vapore
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e che ci giunga un giorno ancora la notizia
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di una locomotiva, come una cosa viva,
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lanciata a bomba contro l' ingiustizia,
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lanciata a bomba contro l' ingiustizia,
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lanciata a bomba contro l' ingiustizia!
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PICCOLA CITTA' - RADICI
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Piccola città, bastardo posto,
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appena nato ti compresi o fu il fato che in tre mesi mi spinse via;
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piccola città io ti conosco,
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nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo che cambia in meglio,
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ma sono qui nei pensieri le strade di ieri, e tornano
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visi e dolori e stagioni, amori e mattoni che parlano...
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Piccola città, io poi rividi
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le tue pietre sconosciute, le tue case diroccate da guerra antica;
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mia nemica strana sei lontana
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coi peccati fra macerie e fra giochi consumati dentro al Florida:
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cento finestre, un cortile, le voci, le liti e la miseria;
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io, la montagna nel cuore, scoprivo l' odore del dopoguerra...
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Piccola città, vetrate viola,
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primi giorni della scuola, la parola ha il mesto odore di religione;
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vecchie suore nere che con fede
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in quelle sere avete dato a noi il senso di peccato e di espiazione:
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gli occhi guardavano voi, ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia,
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correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West...
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Sciocca adolescenza, falsa e stupida innocenza,
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continenza, vuoto mito americano di terza mano,
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pubertà infelice, spesso urlata a mezza voce,
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a toni acuti, casti affetti denigrati, cercati invano;
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se penso a un giorno o a un momento ritrovo soltanto malinconia
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e tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via...
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Piccola città, vecchia bambina
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che mi fu tanto fedele, a cui fui tanto fedele tre lunghi mesi;
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angoli di strada testimoni degli erotici miei sogni,
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frustrazioni e amori a vuoto mai compresi;
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dove sei ora, che fai, neghi ancora o ti dai sabato sera?
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Quelle di adesso disprezzi, o invidi e singhiozzi se passano davanti a te?
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Piccola città, vecchi cortili,
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sogni e dei primaverili, rime e fedi giovanili, bimbe ora vecchie;
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piango e non rimpiango, la tua polvere, il tuo fango, le tue vite,
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le tue pietre, l'oro e il marmo, le catapecchie:
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così diversa sei adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso,
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cerco le notti ed il fiasco, se muoio rinasco, finchè non finirà...
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INCONTRO - RADICI
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E correndo mi incontrò lungo le scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei,
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la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due.
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Il sole che calava già rosseggiava la città
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già nostra e ora straniera e incredibile e fredda:
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come un istante "deja vu", ombra della gioventù, ci circondava la nebbia...
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Auto ferme ci guardavano in silenzio, vecchi muri proponevan nuovi eroi,
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dieci anni da narrare l'uno all' altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi:
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"cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi,
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ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via".
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E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia...
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E le frasi, quasi fossimo due vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi,
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per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.
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I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway,
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il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste:
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la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste...
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Carte e vento volan via nella stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì
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ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri films:
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come in un libro scritto male, lui s' era ucciso per Natale,
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ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio:
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povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto...
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E pensavo dondolato dal vagone "cara amica il tempo prende il tempo dà...
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noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa...
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restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
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le luci nel buio di case intraviste da un treno:
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siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."
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LA CANZONE DEI DODICI MESI - RADICI
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Viene Gennaio silenzioso e lieve, un fiume addormentato
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fra le cui rive giace come neve il mio corpo malato, il mio corpo malato...
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Sono distese lungo la pianura bianche file di campi,
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son come amanti dopo l'avventura neri alberi stanchi, neri alberi stanchi...
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Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino, ma nei convitti e in piazza
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lascia i dolori e vesti da Arlecchino, il carnevale impazza, il carnevale impazza...
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L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore appare la speranza
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nei primi giorni di malato sole la primavera danza, la primavera danza..
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Cantando Marzo porta le sue piogge, la nebbia squarcia il velo,
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porta la neve sciolta nelle rogge il riso del disgelo, il riso del disgelo...
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Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta la penitenza vana,
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l'ala del tempo batte troppo in fretta, la guardi, è già lontana, la guardi, è già lontana...
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O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
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Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
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la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare.
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Con giorni lunghi al sonno dedicati il dolce Aprile viene,
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quali segreti scoprì in te il poeta che ti chiamò crudele, che ti chiamò crudele...
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Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi dopo fatto l'amore,
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come la terra dorme nella notte dopo un giorno di sole, dopo un giorno di sole...
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Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera,
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il nuovo amore getti via l'antico nell' ombra della sera, nell' ombra della sera...
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Ben venga Maggio, ben venga la rosa che è dei poeti il fiore,
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mentre la canto con la mia chitarra brindo a Cenne e a Folgore, brindo a Cenne e a Folgore...
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Giugno, che sei maturità dell'anno, di te ringrazio Dio:
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in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io...
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E con le messi che hai fra le tue mani ci porti il tuo tesoro,
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con le tue spighe doni all' uomo il pane, alle femmine l' oro, alle femmine l' oro...
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O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
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Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
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la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...
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Con giorni lunghi di colori chiari ecco Luglio, il leone,
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riposa, bevi e il mondo attorno appare come in una visione, come in una visione...
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Non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe oziose ore
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mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore, di vino e di calore...
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Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull' età,
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dopo l' estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità...
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Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità,
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come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità...
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Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza:
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nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza, prepari mosto e ebbrezza...
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Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze,
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lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse, fumano nubi basse...
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O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
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Diverso tutti gli anni, e tutti gli anni uguale,
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la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...
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Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti,
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lungo i giardini consacrati al pianto si festeggiano i morti, si festeggiano i morti...
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Cade la pioggia ed il tuo viso bagna di gocce di rugiada
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te pure, un giorno, cambierà la sorte in fango della strada, in fango della strada...
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E mi addormento come in un letargo, Dicembre, alle tue porte,
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lungo i tuoi giorni con la mente spargo tristi semi di morte, tristi semi di morte...
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Uomini e cose lasciano per terra esili ombre pigre,
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ma nei tuoi giorni dai profeti detti nasce Cristo la tigre, nasce Cristo la tigre...
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O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
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Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
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la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare
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che non sai mai giocare, che non sai mai giocare
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che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...
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LA CANZONE DELLA BAMBINA PORTOGHESE - RADICI
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E poi e poi, gente viene qui e ti dice di sapere già ogni legge delle cose.
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E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco di verità fatte di formule vuote...
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E tutti, sai, ti san dire come fare,
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quali leggi rispettare, quali regole osservare, qual'è il vero vero...
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E poi, e poi, tutti chiusi in tante celle fanno a chi parla più forte
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per non dir che stelle e morte fan paura...
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Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese,
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non c'eran parole, rumori soltanto come voci sorprese,
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il mare soltanto e il suo primo bikini amaranto,
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le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle...
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Gli amici vicino sembravan sommersi dalla voce del mare...
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O sogni o visioni, qualcosa la prese e si mise a pensare,
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sentì che era un punto al limite di un continente,
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sentì che era un niente, l'Atlantico immenso di fronte...
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E in questo sentiva qualcosa di grande
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che non riusciva a capire, che non poteva intuire,
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che avrebbe spiegato, se avesse capito lei, quell' oceano infinito...
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Ma il caldo l'avvolse, si sentì svanire e si mise a dormire
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e fu solo del sole, come di mani future;
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restaron soltanto il mare e un bikini amaranto...
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E poi e poi, se ti scopri a ricordare, ti accorgerai che non te ne importa niente
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e capirai che una sera o una stagione son come lampi, luci accese e dopo spente
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e capirai che la vera ambiguità
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è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini...
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E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere,
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ma il qualcosa che ti porti dentro,
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cioè vivere, vivere e poi, poi vivere
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e poi, poi vivere...
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IL VECCHIO E IL BAMBINO - RADICI
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Un vecchio e un bambino si preser per mano
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e andarono insieme incontro alla sera;
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la polvere rossa si alzava lontano
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e il sole brillava di luce non vera...
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L' immensa pianura sembrava arrivare
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fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare
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e tutto d' intorno non c'era nessuno:
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solo il tetro contorno di torri di fumo...
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I due camminavano, il giorno cadeva,
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il vecchio parlava e piano piangeva:
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con l' anima assente, con gli occhi bagnati,
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seguiva il ricordo di miti passati...
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I vecchi subiscon le ingiurie degli anni,
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non sanno distinguere il vero dai sogni,
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i vecchi non sanno, nel loro pensiero,
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distinguer nei sogni il falso dal vero...
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E il vecchio diceva, guardando lontano:
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"Immagina questo coperto di grano,
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immagina i frutti e immagina i fiori
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e pensa alle voci e pensa ai colori
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e in questa pianura, fin dove si perde,
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crescevano gli alberi e tutto era verde,
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cadeva la pioggia, segnavano i soli
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il ritmo dell' uomo e delle stagioni..."
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Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
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e gli occhi guardavano cose mai viste
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e poi disse al vecchio con voce sognante:
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"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"
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